La locuzione latina errare humanum est, perseverare autem diabolicum, tradotta letteralmente, significa "commettere errori è umano, ma perseverare [nell'errore] è diabolico". La frase è entrata nel linguaggio comune, come aforisma con il quale si cerca d’attenuare una colpa, un errore, purché sporadico e non ripetuto. Sostanzialmente essa si rifà (anche se non letteralmente) ad un'espressione di sant'Agostino, anche se esistono diversi antecedenti in latino precristiano.
Quello che più si avvicina risale a Cicerone (Filippiche XII. 5): Cuiusvis hominis est errare: nullius nisi insipientis, in errore perseverare ("è cosa comune l’errare; è solo dell’ignorante perseverare nell'errore"). Più sfumato Livio (Storie, VIII, 35): Venia dignus est humanus error ("ogni errore umano merita perdono").
L'attribuzione che da più parti viene fatta[1] di una frase simile a Seneca il vecchio (55 a.C. ca. - 40 d.C.) sembra basata su un'errata lezione del testo ("Humanum est errare" invece di "per humanos errores")[2].
La prima fonte cristiana che contenga una frase analoga è San Gerolamo ("errasse humanum est", Epist. 57.12)[3]. In seguito, sant'Agostino d'Ippona nei suoi Sermones (164, 14) afferma: Humanum fuit errare, diabolicum est per animositatem in errore manere[4]("cadere nell'errore è stato proprio dell'uomo, ma è diabolico insistere nell'errore per superbia").
Il significato è chiaro: l'errare è parte della natura umana. Questo, però, non può essere un'attenuante per reiterare uno sbaglio, quanto piuttosto un mezzo per imparare dall'esperienza.
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